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La storia di Mauro
E’ cominciato così all’improvviso, una mattina, dopo una notte passata a non dormire, credevo per una cena eccessiva, dove quelli che ti invitano vogliono fare bella figura e ci riescono.
Avevo mangiato e bevuto un po’ troppo.
Un senso di ottundimento, di malessere al capo, non dolore, ed un bruciore intenso alle gambe, ai piedi. Sono comunque andato al lavoro sperando passasse. Mi sentivo particolarmente stanco ed affaticabile.
Purtroppo sono un medico. Dico purtroppo, perché ho capito subito che non si trattava di una banalità. Ho pensato ad un rialzo pressorio, ma la pressione non era così alta da giustificare i sintomi. Ho pensato ad un periodo di particolare affaticamento, ma i miei ritmi di lavoro sono sempre stati impegnativi. Credo di essere un buon medico, di quelli che non antepongono il guadagno, la carriera ai pazienti e, al di là della retoric , di quelli che credono che fare il medico voglia dire anche un po’ dedicarsi oltre la scienza.
I sintomi non miglioravano, la stanchezza diveniva insopportabile ed i disturbi della sensibilità a piedi, gambe sembrava si accentuassero. Inoltre, sforzandomi a mantenere una vita normale, tentavo di giocare a tennis rendendomi tuttavia conto di non riuscire a raggiungere la pallina, d’inciamparmi, come se le gambe si muovessero con difficoltà, con lentezza e tra il pensiero di scattare e l’azione passasse un tempo eccessivamente lungo.
Essere medico non aiuta: ti analizzi razionalmente, hai di fronte un’ampia possibilità di diagnosi con la paura di azzeccarci e cerchi conferme.
Così ho fatto. Ho cercato l’aiuto di una compagna di studi all’Università, diventata Neurologa.
Le ho espresso i miei dubbi, le mie paure, ma soprattutto la gravità dei sintomi. Mi ha inviato ad una collega esperta di Elettromiografia, che dopo l’effettuazione dell’esame, pur senza spaventarmi, e, come ho capito successivamente, nascondendomi la gravità del problema, mi ha proposto il ricovero per accertamenti. Lì ho compreso che la speranza di una diagnosi inesatta era utopistica e reale la prospettiva di una malattia invalidante. Ho cominciato a temere quelle crudeli malattie progressive, che rendono inabili dal punto di vista funzionale, motorio e non, e determinano una perdita totale della dignità umana mantenendoti consapevole di quanto succede, senza attuali prospettive terapeutiche.
E’ difficile far capire agli altri il tuo stato d’animo e quanto la paura di una diagnosi esatta possa condizionare il tuo futuro. Ho una moglie e due figlie, che mi hanno sempre visto efficiente, attivo, molto sportivo .Ho sempre lottato nella vita. (Mio padre è mancato all’età di 47 anni per una recidiva di ictus, che l’aveva lasciato paralizzato e afasico. Mia madre è mancata 5 anni dopo, a 46 anni, per una neoplasia mammaria. Io ho vissuto nella mia adolescenza le loro due agonie dovendo in più gestire mia sorella, bambina.) Non ho potuto illustrare loro i miei dubbi le mie paure sulla malattia, sul mio e loro futuro. Mi avrebbero accusato del solito pessimismo cosmico derivante dal mio passato . Ho taciuto, sperando di sbagliarmi.
Intanto i sintomi peggioravano, lentamente ma in modo evidente. La sensibilità ai piedi ed alle gambe si riduceva, accompagnata da una fastidiosa sensazione di bruciore nella stessa sede. I movimenti degli arti inferiori , specie dei piedi diventavano lenti e difficili, interferendo anche con l’equilibrio. Non riuscivo a tenere gli zoccoli nei piedi, spesso perdendoli e diventavo sempre più goffo nei movimenti, rischiando spesso di cadere. Erano comparsi anche disturbi di sensibilità alle mani, meno evidenti, ma che rappresentano per me un indispensabile strumento di lavoro (sono ginecologo).
Continuavo con ostinazione il mio lavoro seppur in modo parziale con frequenti interruzioni dovute all’affaticabilità ingravescente. Anche le cose più banali diventavano difficili: la percezione del decorso di una vena per un prelievo ad esempio.
L’umore diventava sempre più nero e la depressione aumentava.
Venne il giorno del ricovero, incredibilmente desiderato. Una stanzetta singola in un ospedale cittadino, una finestra su un cortile dove la gente passava veloce. Un reparto popolato di anziani segnati dall’ictus.
I miei sintomi peggioravano soprattutto sul piano motorio: avevo difficoltà ad andare in bagno, la porta accanto. E’ difficile essere malati; lo è ancor di più essere un medico malato. E’ quasi una vergogna dirlo, lamentare i sintomi.
L’essere medico agli occhi degli altri è quasi come avere più facilità alla guarigione, sapere come fare… ma non è così e questo ti deprime ancor di più.
Ho trovato buoni medici, pacati sensibili. Il Primario soprattutto mi è stato vicino, prospettandomi ipotesi di malattie, non rassicuranti ma risolvibili. Lo ha fatto sempre da amico più che da cattedratico, con molta modestia.
Ho fatto molti esami anche fastidiosi, che non hanno portato ad una diagnosi precisa, POLINEVRITE DEMIELINIZZANTE AD ANDAMENTO CRONICO la più probabile , con cui sono stato dimesso.
Una malattia di cui si conosce poco e si scrive moltissimo: anche per me medico non specializzato in Neurologia una di quelle malattie che si leggono sui libri, di cui si conosce poco .
Un difetto immunologico che distrugge la mielina, rivestimento del nervo periferico,rallentandone la velocità di conduzione dello stimolo nervoso. Come togliere ad un filo elettrico il suo rivestimento di plastica. Le conseguenze possono essere drammatiche, specie nelle forme acute che interessano i muscoli respiratori o più subdole, lente ed invalidanti nelle forme croniche.
La causa? Un impazzire del sistema immunologico causato da vaccini, infezioni virali, interventi chirurgici…nulla di tutto questo nel mio caso.
Diagnosi incerta, terapia dubbia, prognosi quanto mai imprevedibile.
Abbiamo optato per le immunoglobuline endovena, trattamento costoso per il SSN, con i rischi degli emoderivati, che mi teneva bloccato con un ago nella vena per lunghe ore.
Ho cominciato a star meglio.
I disturbi sensitivi sembravano attenuarsi, l’affaticabilità si riduceva, le gambe mi sembravano meno “legnose”. Anche l’ottimismo cautamente tornava con la speranza.
Era l’inizio dell’estate del 2003, un’estate torrida, che sfiancava anche i non malati.
Il caldo per la trasmissione nervosa è un elemento deleterio.
Così dopo un mese i sintomi cominciavano a riapparire e la stanchezza ridiventava invalidante.
Nelle giornate torride in cui camminare per pochi metri rappresentava una fatica colossale, andavo su internet, dove avevo scovato un sito dedicato alle neuropatie.
Era il sito della disperazione, dell’insoddisfazione su cui scrivevano i delusi dalla medicina, quelli che vantavano trattamenti alternativi o la scoperta di quel medico, di quella clinica in cui il trattamento era stato ottimo o pessimo. Conforto per il lettori: nessuno, come nessuna speranza.
Ho ricontattato il primario neurologo amico, che non si è stupito. Con pazienza mi ha informato sul comportamento capriccioso di queste forme, consigliandomi un ulteriore ciclo di immunoglobuline, però associato a cortisone.
Ho ricominciato la terapia infusionale per 5 giorni, in DH.
Era in ferie l’infermiera che mi aveva seguito nel precedente ciclo ed ho compreso quanto la sua abilità nell’assistermi fosse indispensabile. Essere “bucato” più volte perché l’ago va fuori vena è una tortura per chi, insofferente, è sottoposto a lunghi trattamenti!
Nel Day Hospital ho conosciuto persone giovani più malate di me e da paziente ho compreso la modestia e tolleranza. Dalle loro telefonate ho capito il calvario di chi non riesce a muoversi e deve farlo in città.
Anche allora sono stato meglio, anche se il cortisone rende nervosi, irritabili, fa ingrassare…., un po’ più a lungo. Poi tutto lentamente è tornato come prima.
Sono quasi stato costretto a sentire un altro parere, di un esperto di questo tipo di malattie.
Mi ha ricevuto facendomi visitare in sua presenza da una specializzanda, che mi è sembrato gli interessasse più di me; ha ascoltato i miei sintomi, quanto avevo già fatto in termini terapeutici. Ha dimostrato perplessità sul quanto avessi fatto nonostante i risultati ed ha confermato la diagnosi, mettendo il dito, in modo accademico e distaccato, sulla nebulosità della prognosi.
Mi ha proposto un trattamento alternativo con un farmaco utilizzato anche in oncologia, di cui conoscevo bene gli effetti collaterali, senza prospettarmi risultati certi.
Sono uscito ancor più depresso, convinto di dover convivere non solo con i sintomi disabilitanti della malattia ma anche con quelli collaterali dei farmaci.
Ho lasciato perdere quanto propostomi e mi sono nuovamente rivolto là dove ero stato curato.
Il primario anche questa volta non si è stupito della ricaduta, mi ha confermato bonariamente,che era la regola e che non comprometteva la possibilità di guarigione spontanea e mi ha riproposto la stessa terapia cortisonica e un nuovo ciclo di immunoglobuline.
Ho ritrovato la solita infermiera, precisa e puntuale e sopportato i 5 giorni di terapia.
Dopo sono stato meglio, ma soprattutto da allora sono sempre stato meglio.
Le gambe mi si sono liberate da quella opprimente rigidità ed ho ricominciato a rifare tutto quanto facevo.
La sensibilità è ritornata seppur più lentamente e non in modo completo,sia alle mani che ai piedi.
Oggi a distanza di 5 anni faccio una vita normale o forse non proprio normale per un
ultracinquantenne: vado in moto, faccio immersioni subacquee, trekking faticosi, gravosi percorsi in bicicletta. Ho ripreso completamente un’attività lavorativa stressante, che mi ero riproposto di non riprendere,almeno a questi ritmi.
Non sono più quello di prima: ho una sensibilità minore ai piedi,spesso “fastidio”, specie nel portare calze o scarpe strette, mi affatico più facilmente… Ma ho dimenticato.
Sì, spesso mi stupisco di essermi dimenticato o di dimenticarmi di quello che è successo.
Ho cambiato anche il mio modo di avvicinarmi anche ai pazienti con patologie gravi; ho capito che l’avere una speranza aiuta a guarire o comunque a convivere meglio con la malattia.
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Commenti
Ciò detto, dato che anch'io ho avuto bruciori alle gambe in concomitanza con una prostatite poi diventata cronica e che da quando mi hanno scoperto una neoplasia vescicale si è estesa anche alle braccia e al torace , vorrei mettermi in contatto con Franco del commento 2 che denuncia la stessa sintomatologia in concomitanza con la prostatite .ringraziando , porgo cordiali saluti.
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